Durante la Battaglia del Solstizio (15 – 22 giugno 1918) l’artiglieria italiana diede il suo più glorioso contributo all’esito vittorioso della Grande Guerra.
Dopo il rovescio di Caporetto del 1917, sul Fronte italiano le operazioni belliche proseguirono con l’offensiva scatenata dall’Imperial Regio Esercito Austro-Ungarico sulla linea del Piave (10-26 novembre 1917), sull’altipiano di Asiago e nella zona del Monte Grappa (4-23 dicembre 1917). Per colmare i vuoti nelle divisioni italiane furono utilizzati per la prima volta i giovani diciottenni della classe 1899, che passarono alla storia come “Ragazzi del ’99“.
Nel dicembre del 1917 gli Austroungarici, nonostante la discreta riuscita dell’attacco, ritirarono i loro contingenti per preparare l’attacco di primavera.
L’offensiva, sostenuta da ben 66 divisioni austroungariche e tedesche, fu sferrata la notte del 15 giugno 1918, con il fine di dilagare nella pianura veneta. La battaglia è ricordata come “Battaglia del Solstizio”.
L’attacco, tuttavia, non raggiunse gli obiettivi prefissati. Furono occupate alcune quote, ma l’avanzata fu contenuta nella zona dell’Altopiano di Asiago e del Monte Grappa.
Sul Piave furono create tre teste di ponte sulla sponda destra del fiume, una sul Montello, una in direzione di Treviso e l’altra a San Donà, tutte poi circoscritte e respinte entro il 18 giugno.
Nella “Battaglia del Solstizio” l’ Artiglieria ebbe un ruolo decisivo.
L’offensiva iniziò nella notte ma – nonostante la rapidità dell’attacco – il Comando Supremo Italiano non fu colto di sorpresa: alla violenta preparazione di fuoco dell’artiglieria nemica, rispose con il poderoso e inaspettato fuoco di contropreparazione delle nostre numerose batterie, che gettò lo scompiglio nelle truppe avversarie, neutralizzando comandi, centri logistici e zone delle riserve. Mai come in quella occasione il motto dell’ Arma ‘sempre ed ovunque’ fu cosi veritiero.
Durante quella ostinata ed eroica battaglia d’arresto, il Piave divenne, per sempre, il simbolo dell’estremo sacrificio in nome di una Patria salvata dalla tenacia e dal coraggio di decine di migliaia di combattenti.
Il fallimento dell’offensiva degli Imperiali capovolse definitivamente le sorti della guerra: da quel momento in poi l’Austria-Ungheria non fu più in grado di assumere l’iniziativa.
La battaglia del 15-22 giugno 1918, non fu una completa vittoria italiana, ma fu la grande e definitiva sconfitta delle intenzioni nemiche. Il tutto avvenne a soli sette mesi da Caporetto. Una battaglia difensiva che risollevò il morale delle truppe e preparò l’offensiva finale. Il successo della battaglia, sottolineato da 640 Medaglie al Valore di cui 486 a soldati, fu il prologo della battaglia di Vittorio Veneto che sancì definitivamente la sconfintta del nemico.
Con il brano seguente vogliamo rendere memoria ai volonterosi e valorosi artiglieri del ’18.
Il capopezzo lo svegliò di malagrazia e lo spinse fuori dal ricovero serventi verso la piazzola del pezzo. Era molto umido e freddo nonostante fosse la metà di giugno ed era piovuto per giorni rendendo tutto scivoloso con fango e pozze d’acqua da tutte le parti. Gli scarponi erano un disastro e le pezze da piedi ormai marce rendevano i piedi perennemente freddi. Le fasce mollettiere distribuite in sostituzione dei gambali, praticamente introvabili per le truppe combattenti, erano ormai un ricordo incrostate di fango e zuppe d’acqua. Era già un lusso essere vestito e calzato di tutto punto, una dotazione regolare di scarpe ed abiti decenti li aveva avuti solo con l’arruolamento: in casa, come ennesimo figlio di poveri mezzadri gli abiti erano un lusso e le scarpe non le aveva avute se non, riciclate, per le grandi occasioni ma per il resto solo zoccolacci di legno.
Gli altri serventi, anche loro nelle stesse condizioni, si muovevano nell’oscurità sotto la pressione del caporal maggiore capopezzo, un sussiegoso settentrionale con pretese intellettualoidi, del quale i soliti ben informati mormoravano che aveva partecipato agli scioperi operai del maggio precedente e pizzicato dai carabinieri era stato spedito al fronte, col “baffo” quale operaio specializzato. Era però un buon tecnico e gli aveva dato affascinanti spiegazioni sul funzionamento del pezzo al quale era assegnato: il famoso 75/27 mod.11 Dupont.
Quale caricatore iniziò ad adempiere alle incombenze delle quali era incaricato: tolse il cappuccio di protezione dal vivo di volata e svincolò la bocca da fuoco dall’aggancio sugli organi elastici dell’affusto ai quali era ancorata in posizione di marcia e di riposo, quindi, dato il convenzionale cenno al puntatore si pose tra le cosce del pezzo come prescriveva la libretta, pronto ad inserire all’interno della camera di scoppio la granata che gli veniva passata dal porgitore che a sua volta la riceveva dal preparatore primo anello della catena, sotto la sorveglianza del capopezzo.
Di lì a pochi attimi si materializzò il sottotenente comandante di sezione che sempre in massimo silenzio, come disposto con rigorosi ordini dei giorni precedenti, li radunò ricordando loro l’importanza di quello che erano chiamati a fare, i pericoli incombenti per loro e per le loro famiglie, appellandosi al loro onore di artiglieri del Regio Esercito e informandoli che il nemico si apprestava a lanciare una grande offensiva che spettava proprio a loro di rintuzzare sin dalle primissime fasi con la loro azione impedendogli di attraversare il fiume che scorreva poco avanti a loro. Un fervorino che gli scaldò il cuore e lo rese partecipe del grande atto che si stava per scatenare. Anche negli occhi dei suoi compagni lesse la stessa volontà e decisione e tornò al pezzo più stimolato e motivato.
In attesa di agire, nel buio rifletté che capiva finalmente come mai la sua batteria, acquartierata in un piccolo paesino delle retrovie per un periodo di riposo e di addestramento alle nuove tecniche della manovra del fuoco, era stata allarmata e in tutta fretta spedita sulle attuali posizioni con tutte le cautele possibili movimenti sul far dell’alba e dopo il tramonto, lavori di interramento della linea pezzi ridotti al minimo, mascheramento curatissimo, aggiustamento sugli obbiettivi solo in maniera assolutamente saltuaria e mai per sezione o per batteria ma sempre e soltanto con il pezzo base, a dissimulare la presenza di tante bocche da fuoco di tutti i calibri, ammassate in quella zona del fronte, come se già si sapesse o si aspettasse qualcosa…..
All’improvviso sembrò che una scossa elettrica invadesse tutti, il capopezzo chiamò i serventi e dette il fatidico ordine: caricate! La catena si mise in movimento, il preparatore pescò una granata già pronta dalla riservetta e la passò al porgitore che la passò a lui che con decisione la infilò nel vivo di culatta, pressando con determinazione il fondello del bossolo con il pugno della mano destra a far impegnare la rigatura della canna dalla corona di forzamento della granata, quindi il puntatore di destra chiuse la culatta: il pezzo era pronto al fuoco.
Si aspettò ancora, erano secondi che parevano ore e pesavano come macigni, la tensione era alle stelle e quando giunse l’ordine di fuoco! erano circa le una della notte, fu una liberazione il puntatore di destra azionò la leva di sparo e il pezzo rinculò bruscamente sui due piani, la bocca da fuoco sulla culla e l’affusto sul sottoaffusto. Il caporalmaggiore gli aveva spiegato che era un grosso vantaggio, permetteva al pezzo di non saltare sull’affusto, migliorando di molto la stabilità dello stesso a tutto vantaggio della precisione del tiro e della velocità di fuoco, essenziale in un pezzo ideato per l’artiglieria da campagna e pertanto devoluto all’accompagnamento diretto dell’azione delle fanterie amiche nell’attacco e al fuoco di sbarramento per la protezione delle proprie posizioni nella battaglia difensiva. L’ordine fu perentorio “fuoco a cadenza massima!” Pertanto ogni pezzo poteva sparare a volontà alla massima velocità possibile di circa 7-10 colpi al minuto, con i bossoli incandescenti che si ammucchiavano sui piedi dei serventi e loro che non avevano materialmente il tempo di respirare per la necessità di infornare in continuazione nuovi colpi.
L’azione, contrariamente alle aspettative, continuò se non con brevissime interruzioni anche quando iniziarono a fioccare i colpi in arrivo dell’artiglieria nemica che tentava un tiro di controbatteria per alleggerire la pressione sulle proprie fanterie, ma era in effetti un tiro sconnesso e mal registrato, mancando agli osservatori nemici precisi punti di riferimento e dati di tiro precalcolati basandosi nella notte solo sulla rilevazione delle vampe per i colpi in partenza, elemento non facilmente ed univocamente rilevabile data la numerosità delle armi che erogavano il fuoco.
Peraltro danni e perdite si rilevarono anche sulla linea pezzi del suo gruppo ma il nostro continuò a caricare il suo pezzo con determinazione e il sudore gli colava lungo la schiena e dalla fronte, si liberò in un attimo della giubba e proseguì nell’azione che gli sembrò nel contempo eterna e brevissima, fino a quando li raggiunse l’ordine di sospendere il fuoco e poi: pezzi in sicurezza!
Notò solo allora che il sole era già alto nel cielo e il fumo degli scoppi e degli incendi si alzava alto, il rumore violento della battaglia giungeva fragoroso ma nonostante il nemico fosse riuscito a passare il fiume, come seppe poi, in altri settori, di fronte a loro era stato inchiodato sulla linea di partenza con i reparti ancora ammassati; crollò allora esausto come i suoi compagni sul posto e si riposò pronto ad un nuovo allarme che non mancò ma che fu meno grave e pesante del primo.
Il suo reggimento alcuni giorni dopo, tirato a lucido e schierato al gran completo ricevette l’augusta visita del Sovrano che si rallegrò con tutti per la brillante azione, strinse la mano al Comandante e decorò la bandiera di una ricompensa al valore concessa motu proprio!
Restò tutta la vita orgoglioso di avere partecipato a quella battaglia e ancora, anziano ripeteva ai suoi nipotini che lo ascoltavano rapiti alcune parole della preghiera dell’artigliere:
……di rendere il nostro cuore
forte come la tempra dei nostri cannoni
puro il nostro animo come la fiamma
che erompe dai nostri pezzi.
Brano segnalato da IRON SERGENT
bruno said:
grazie finalmente una testimonianza diretta e umanissima su quell’immane vittoriosa battaglia
mariano said:
mi piace